CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Sentenza 15 gennaio 1998; causa C-37/95; Pres. Ragnemalm, Avv. Gen. Ruiz-Jarabo Colomer; tra Stato belga e Ghent Coal Terminal NV; domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Hof van Casatie del Belgio.

 

MASSIMA DELLA SENTENZA

 

Disposizioni Fiscali – Armonizzazione delle legislazioni – Imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto – Detrazione dell’imposta pagata a monte– Detrazione dell’imposta che grava sui beni forniti e sui servizi prestati ai fini di opere di investimento destinate ad essere utilizzate nell’ambito di operazioni soggette ad imposte – Impossibilità per il soggetto passivo di far uso dei beni e dei servizi di cui trattasi ai fini previsti – Circostanza irrilevante rispetto al diritto a detrazione – Possibilità di rettifica della detrazione inizialmente effettuata alle condizioni di cui all’art. 20, n. 3, della sesta direttiva (Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, artt. 17, n. 2, e 20, n. 3).

 

L’art. 17 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari, deve essere interpretato nel senso che consente ad un soggetto passivo che agisce in quanto tale di detrarre l’IVA di cui è debitore per beni che gli sono stati forniti o per servizi che gli sono stati prestati ai fini di opere d’investimento destinate ad essere utilizzate nell’ambito di operazioni imponibili. Il diritto a detrazione rimane acquisito qualora a causa di circostanze estranee alla sua volontà, il soggetto passivo non abbia mai fatto uso dei suddetti beni e servizi per realizzare operazioni imponibili. Se del caso, la fornitura di un bene di investimento nel corso del periodo di rettifica può dar luogo ad una rettifica della detrazione alle condizioni previste dall’art. 20 n. 3, della direttiva.

Diritto alla detrazione e obbligo di rettifica.

Sommario:   1. Premessa; 2. La fattispecie; 3. La questione pregiudiziale; 4. Le conclusioni dell’Avvocato Generale, la normativa comunitaria e la sentenza della Corte; 5. Conclusioni.

  1. Premessa.

La sentenza offre lo spunto per affrontare il tema del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, con particolare riguardo agli obblighi di rettifica che ne completano la disciplina.

Nell’ambito dell’ordinamento italiano la materia è stata recentemente oggetto di attenzione da parte del legislatore, con chiari obiettivi di armonizzazione con i principi comunitari[1].

  1. La fattispecie

 

La società Ghent Coal Terminal NV (“Ghent Coal”), su disposizioni delle autorità municipali della città di Gand, cede in permuta alcuni terreni di proprietà.

Successivamente l’amministrazione tributaria belga contesta alla società la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto corrisposta su investimenti, operati sui terreni prima della permuta, sul presupposto che la Ghent Coal “non ha mai fatto (…) uso dei terreni” per effettuare operazioni imponibili[2].

In un primo momento, la società restituisce l’importo detratto, mediante compensazione con crediti tributari, applicando una transazione stipulata per l’occasione con le autorità fiscali locali.

Successivamente essa, ritenendo non legittimo quanto versato, ne chiede il rimborso. A fronte del diniego, la Ghent Coal adisce senza successo il Rechtbank van eerste aanleg di Gand, che con sentenza del 4 aprile 1990 dichiara vincolante la transazione stipulata tra le parti.

In sede di appello lo Hof van Beroep di Gand, annullando la sentenza di primo grado, dichiara illegittima la transazione asserendo che i debiti fiscali possono essere determinati esclusivamente mediante l’applicazione della legge. Così, con l’impugnazione della sentenza di secondo grado datata 23 febbraio 1993, si perviene al giudizio di legittimità.

  3.La questione pregiudiziale.

Il Giudice comunitario, adito dalla Cassazione belga[3] è chiamato a rispondere alla seguente questione:

“[s]e l’art. 17 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari, debba essere interpretato nel senso che il diritto alla detrazione sussiste per l’imposta sul valore aggiunto dovuta su investimenti originariamente destinati ad essere impiegati nell’ambito dell’impresa, ma dei quali l’impresa medesima, per motivi estranei alla sua volontà, non abbia fatto alcun impiego effettivo”

La questione pregiudiziale pone problemi interpretativi in ordine alla definizione del petitum.

Da un lato, infatti, il Governo belga segnala che la contestazione riguarda l’esistenza del diritto alla detrazione ab origine e non anche un eventuale obbligo di rettifica.

Dall’altro, anche su indicazione dell’Avvocato Generale[4], si afferma che se la questione pregiudiziale ha come obiettivo la interpretazione del principio del diritto alla detrazione, tuttavia, “occorrerebbe (…) un riferimento espresso alla possibilità di rettificare la detrazione iniziale a causa dell’esistenza di circostanze successive [alla detrazione] che incidono su fattori presi in considerazione per stabilire la [stessa] detrazione”[5].

Ciò con l’obiettivo di “restare aderente ai termini della questione sollevata, i quali non fanno direttamente allusione ai problemi della rettifica, ma neppure li escludono”[6].

Sull’importanza della rettifica si esprimono, peraltro, la Commissione e la Ghen Coal.

Infatti, tra le note presentate dalla Commissione è possibile rinvenire il noto principio secondo cui “nel caso della cessione esente da IVA di un bene di investimento durante il periodo di rettifica, la detrazione applicata deve essere rettificata nella misura ed alle condizioni previste dall’art. 20, della sesta direttiva”[7].

Allo stesso tempo tra le note presentate dalla società si legge: “la circostanza che, al di fuori della volontà dell’impresa, (…) gli investimenti hanno perso la loro destinazione e (…) non sono mai effettivamente utilizzati può (…) tutt’al più riguardare solo la possibilità di una rettifica della detrazione, ma non la legittimità della detrazione che è stata effettuata”[8].

Va detto, infine ed a completamento di quanto precisato, che la disciplina contenuta nell’ambito dell’art. 177 del trattato di Roma non impedisce al Giudice comunitario di fornire elementi interpretativi di norme comunitarie non richiamate nell’ambito della questione pregiudiziale, nei casi in cui esse siano ritenute applicabili alla fattispecie sottoposta dal Giudice nazionale.

  1. Le conclusioni dell’Avvocato Generale, la normativa comunitaria e la sentenza della Corte.

Dopo una breve descrizione dei principi generalissimi caratterizzanti l’imposta sul valore aggiunto, le Conclusioni dell’Avvocato Generale, accolte dalla Corte, ripercorrono i caratteri essenziali della giurisprudenza comunitaria sul punto.

Per quanto concerne i principi generalissimi, l’Avvocato Generale evidenzia: (i) il fatto che l’imposta grava proporzionalmente sul prezzo dei beni e dei servizi, “indipendentemente dal numero di operazioni effettuate nel processo di produzione e di distribuzione anteriore alla fase dell’imposizione”[9]; che l’imposta è “riscossa (…) previa detrazione dell’importo (…) che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo”[10]

Inoltre, per quel che riguarda la giurisprudenza, nelle Conclusioni si citano le sentenze Lennartz[11], Rompelman[12] e Inzo[13].

Nel ribadire che il diritto alla deduzione spetta al momento in cui l’imposta diviene esigibile, le sentenze chiariscono che, “nella misura in cui il soggetto passivo (…) usa i beni per le esigenze delle sue operazioni imponibili, egli è autorizzato a dedurre l’IVA (…) anche se i beni [acquistati per le esigenze di detta attività] non vengono immediatamente impiegati”. Tra i presupposti per l’applicazione della detrazione, dunque, è da ricercare l’atto di acquisto nell’ambito dell’attività, mentre “l’impiego del bene, reale o previsto, determina solo l’entità della detrazione iniziale (…) o l’entità delle eventuali rettifiche durante i periodi successivi”. A titolo esemplificativo, l’abbandono dell’attività economica in funzione della quale sono sostenute delle spese preliminari non può, in linea di massima, produrre effetti retroattivi ai fini IVA, salvi, naturalmente, i casi di situazioni fraudolente o abusive. Tra l’altro la mera attività preparatoria all’esercizio di un’attività economica può essere considerata essa stessa attività economica.

In proposito, vengono in rilievo i numeri 1) e 2) dell’articolo 17 della sesta direttiva[14].

In definitiva, i presupposti di un legittimo esercizio del diritto alla detrazione vanno individuati principalmente al momento in cui l’imposta è esigibile, e tra questi va inclusa la valutazione che i beni o servizi acquisiti siano nell’ambito dell’attività imprenditoriale svolta[15].

Naturalmente, non può essere aprioristicamente escluso che in realtà i beni o i servizi acquistati, per una serie di ragioni, siano impiegati in modo differente da quello che in sede di registrazione ci si attendeva.

In questi casi soccorre il regime della rettifica, che interviene a modificare gli effetti della precedente detrazione, senza provocarne il venir meno.

Ecco, quindi, che la disciplina della detrazione non può essere esaminata prescindendo dal regime relativo alla rettifica[16]. E, per quel che riguarda il caso in esame, viene in rilievo l’art. 20 della direttiva[17], che in definitiva impone la rettifica nei casi in cui intervengano modifiche dei presupposti che hanno dato diritto alla detrazione ovvero qualora il bene o il servizio finisca per originare operazioni esenti.

La Corte, come anticipato, accoglie le conclusioni dell’Avvocato Generale, mettendo a fuoco, peraltro, un punto fondamentale, secondo cui nella causa pendente innanzi al giudice nazionale non è controverso che i terreni “erano (…) preordinati alla realizzazione di operazioni soggette ad imposta, che la permuta non era stata né prevista né programmata dalla [società] e che tale permuta costituiva, per essa, addirittura un caso di forza maggiore economica”.

Anche sulla base di questo dato, il Giudice comunitario ha precisato che il diritto alla detrazione, da esercitarsi istantaneamente salvo rettifica, non può essere negato con “effetto retroattivo” come richiesto dal Governo belga.

  1. Conclusioni.

L’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia in materia di diritto alla detrazione e di rettifica concorre alla interpretazione delle nuove disposizioni derivanti dalle recenti modifiche al regime IVA italiano introdotte con il d.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313[18].

Infatti, conformemente ai principi comunitari brevemente esaminati, il legislatore nazionale ha chiarito che il momento in cui sorge il diritto alla detrazione coincide con il momento in cui l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile in capo al cedente o prestatore[19].

Inoltre, è stato introdotto il principio secondo cui il diritto alla detrazione non spetta in relazione a beni o servizi impiegati al fine di realizzare operazioni esenti o comunque non soggette[20]. Si impone dunque, al momento dell’esercizio della detrazione, una valutazione della natura della spesa sostenuta.

Ai fini di detta valutazione, perché si possa procedere con la detrazione, è necessario che la spesa sostenuta afferisca operazioni diverse da quelle esenti o comunque non soggette. Nell’ipotesi in cui, per eventi successivi, la spesa sostenuta finisse per divenire afferente operazioni esenti, si renderà opportuno procedere con la rettifica prevista dall’articolo 19-bis2.

Va detto che, almeno da un punto di vista letterale, la formulazione negativa del principio dell’afferenza previsto dall’articolo 19 della legge italiana[21] non corrisponde esattamente a quella positiva dell’articolo 17[22] della direttiva.

Secondo il diritto italiano, in effetti, la detrazione non spetta esclusivamente in mancanza di detta afferenza; con la conseguenza che risulterebbe detraibile l’Iva sulle spese per le quali sia chiara l’afferenza e sulle spese in relazione alle quali non sia possibile pronunziarsi sull’afferenza.

Mentre, per quanto concerne il diritto comunitario, la formulazione positiva del principio, consentirebbe la detrazione esclusivamente in presenza di afferenza, con ciò escludendo le ipotesi di non afferenza e per le quali non sia possibile pronunziarsi sull’afferenza.

In definitiva, ad una prima lettura delle norme, sembrerebbe sussistere un trattamento differente delle spese per le quali non sia possibile stabilire la sussistenza dell’afferenza.

Peraltro, se è vero che difficilmente può capitare di trovarsi nella concreta impossibilità di stabilire la possibile afferenza, in ogni caso, potrebbe sostenersi prevalente la tesi secondo cui la norma italiana non può non essere interpretata alla luce del diritto comunitario. Di qui il rischio che, nonostante la formulazione letterale negativa dell’articolo 19, non sussisterebbe diritto alla detrazione (oltre che nelle ipotesi di destinazione a operazioni esenti o non soggette) neanche nelle ipotesi in cui non sia possibile pronunziarsi con precisione sulla afferenza.

 

Carlo Geronimo Cardia

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