GIOCHI, restrizioni orarie solo se giustificate da un’indagine specifica sul territorio. GERONIMO CARDIA (JAMMA APRILE 2022)

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La proporzionalità e le istruttorie tecnico-scientifiche alla base delle limitazioni di orario di funzionamento del gioco pubblico vanno necessariamente verificate alla luce delle esigenze specifiche del territorio comunale interessato.

Capita speso di imbattersi in ordinanze comunali di riduzione degli orari di funzionamento del gioco pubblico che si spingono a individuare 16, 18 ore di divieto al giorno. Con ciò esse presentano un oggettivo problema di proporzionalità, se si considera che l’Intesa stato Regione aveva dato un massimo di 6 di divieto per giorno e che le ore residue finiscono anche molte volte per essere seminate in ristrette e frastagliate fasce orarie (il cosiddetto effetto canguro) che poi in concreto non consentono alle imprese di sopravvivere.
Capita anche che molte volte i provvedimenti comunali siano del tutto privi di istruttorie o siano caratterizzati da istruttorie che presentano evidenze di indagini e ricerche solo apparentemente complete ma che in realtà ad un occhio attento si palesano del tutto astratte, avulse dal contesto specifico del territorio di riferimento e con evidenti contraddizioni.
Qualche vota accade anche che nei casi impugnazione di detti provvedimenti le pronunzie giurisprudenziali si appiattiscano sulla lettura dei dati espositi senza approcciare ai medesimi in modo critico per valutarne completezza ed attendibilità.
Per inquadrare la fattispecie va ricordato che
(i) i Comuni hanno potestà legislativa in materia ai sensi dell’art. 50, comma 7, T.U.E.L., in quanto la Corte Costituzionale con la sentenza 18 luglio 2014, n. 220 ha osservato che tale disposizione “può fornire un fondamento legislativo al potere del sindaco di disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature per il gioco”;
(ii) se è vero che i Comuni hanno potestà per assumere una misura restrittiva, ciò va compiuto pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti;
(iii) ciò significa che l’orario imposto deve essere in ogni caso rispettoso in concreto del principio di proporzionalità, in funzione del quale i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici, e per il tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge.
Nei provvedimenti troppo restrittivi come quelli sopra indicati è evidente che l’orario di funzionamento residuo non consenta di raccogliere le risorse necessarie per sostenere la copertura dei costi fissi dell’attività, comunque esistenti. Ed è chiaro che ciò compromette la continuità aziendale, preludio della chiusura. Una volta fatta questa semplice considerazione viene da sé che il principio della proporzionalità non possa ritenersi in alcun modo rispettato.
Ma vi è di più. Ammesso che possa essere in astratto immaginata una proporzionalità di una siffatta misura, spesso la circostanza non è valutata né provata all’interno dei provvedimenti impugnati così come non viene operata alcuna valutazione in merito alle ragioni a sostegno dell’esigenza di procedere con l’adozione di una limitazione di orari dalle caratteristiche più stringenti rispetto al limite massimo posto dall’Intesa.

Spesso nei provvedimenti:
(i) vengono formulate solo generiche considerazioni sull’utilità di interventi diretti a contrastare il fenomeno del gioco d’azzardo patologico per mezzo dell’adozione di provvedimenti restrittivi quali la disciplina limitativa degli orari;
(ii) non viene offerto alcun dato che evidenzi situazioni di particolare problematicità per il Comune deliberante che giustifichi l’adozione di una misura drastica come la riduzione dell’orario di esercizio dell’attività di gioco anche oltre quanto previsto a livello nazionale;
(iii) non viene offerta alcuna indicazione scientifica relativa alla concreta utilità delle scelte operate nello specifico per la lotta al disturbo da gioco d’azzardo;
(iv) le paventate esigenze di tutela si riducono ad affermazioni apodittiche e non riscontrate, ed inoltre generalizzate e non riferite alla comunità locale.
Non vi sono detti riferimenti tante volte anche nei casi in cui i provvedimenti impongano orari di chiusura addirittura tre volte superiori alle limitazioni ammesse a livello nazionale (ad esempio divieti di 18 ore anziché 6 al giorno). In proposito, anche ammettendo che ai Comuni sia consentito di mettere in campo una maggior tutela, ogni test di istruttoria non potrebbe prescindere dai seguenti approfondimenti istruttori:
(i) la dimostrazione tecnico-sanitaria-scientifica della pretesa necessità sul territorio specifico di riferimento di una misura di “maggior tutela” rispetto a quella nazionale posta dall’Intesa di 6 ore giornaliere;
(ii) la dimostrazione tecnico-sanitaria-scientifica che “maggior tutela” per gli utenti del territorio specifico possa essere raggiunta con una limitazione di un certo numero di ore, piuttosto che di un altro (tante volte di 16, 18 ore) anziché 6 ore come fatto sul territorio nazionale;
(iii) la dimostrazione tecnico-sanitaria-scientifica che la misura prevista, ossia di imporre 16 o 18 ore di chiusura anziché 6 al giorno, una volta attuata non comporti effetti indiretti, collaterali, contro lo scopo della misura stessa.

Diversi provvedimenti presentano, invece, anzitutto una serie di considerazioni di carattere generale sul tema del disturbo da gioco d’azzardo proponendo dati relativi alla situazione nazionale che nulla apportano alla valutazione del caso specifico del territorio di riferimento.
Altre volte presentano dati di gioco inconferenti quali la raccolta (che come tutti sanno ormai non è altro che la somma imponibile corrispondente alle giocate ed alle rigiocate delle somme vinte), quando invece per misurare il tema andrebbe analizzata la spesa effettiva del giocatore, essendo la medesima esemplificativa del reale ed effettivo coinvolgimento dell’utente e delle proprie risorse. Essa, inoltre, è ben più contenuta del dato relativo alla raccolta (come detto indicizzata non solo alle giocate con le risorse “spese” dal giocatore, ma anche dalle cosiddette rigiocate delle somme vinte dal giocatore) ed è forse per questo che non viene utilizzata. La spesa del giocatore fornisce l’autentica misura di impegno dell’utente per accedere alla forma di intrattenimento prescelta.
Nelle sentenze di rigetto delle impugnazioni dei provvedimenti comunali non viene peraltro presa in considerazione la copiosa giurisprudenza secondo cui i provvedimenti limitativi di orari come quello impugnato per essere considerati “legittimi” devono essere necessariamente preceduti da approfondite indagini istruttorie aderenti allo specifico territorio di riferimento che dimostrino non solo l’esigenza e la congruità della misura ma anche la sua efficacia.

Sul punto occorre richiamare il parere del Consiglio di Stato n. 1418/2020 che ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso di un operatore avverso l’ordinanza del Comune di Monza in materia di orari in quanto la medesima risultava emanata “senza motivare in ordine alle specifiche ragioni, anche territoriali, emergenti da una approfondita istruttoria procedimentale, che in concreto giustifichino, sul piano della adeguatezza e della proporzionalità, l’adozione di limitazioni orarie più restrittive rispetto a quelle fissate con l’Intesa (…)”.
Il Consiglio di Stato ha messo in luce la genericità di alcuni criteri limitativi propri del provvedimento comunale osservando, tra l’altro, che i dati proposti dall’Amministrazione “non sembrano riguardare in via esclusiva il territorio della città (…), bensì l’intero territorio della Provincia (…), giacché quest’ultimo rientra nella competenza della predetta Azienda socio sanitaria” e, con riferimento agli altri dati indicati “trattasi di indagine svolta sull’intero territorio nazionale e concernente un periodo (anni 2009 – 2015) antecedente alla Intesa (…)”.
Nel parere si conclude pertanto affermando che “le suindicate risultanze istruttorie (…) sono palesemente insufficienti, sul piano dello scrutinio di adeguatezza e proporzionalità delle misure adottate, a supportare il regime restrittivo di limitazioni orarie (…), in deroga alla disciplina recepita nell’Intesa (…)” e che “il Comune (…), pur nella consapevolezza che “è consentito quindi disciplinare gli orari di funzionamento degli apparecchi (…), in presenza di motivate esigenze di ordine sociale e pubblico che rendano necessario tale intervento” (…), è venuto meno allo specifico obbligo motivazionale e, prima ancora, a quello di espletare una approfondita istruttoria riferita al territorio comunale, in ordine alla sussistenza di quelle ragioni che, nell’ottica dell’Amministrazione comunale procedente, giustificavano la deroga al regime orario recepito nell’Intesa (…), e segnatamente al limite massimo di interruzione quotidiana del gioco lecito su cui si è registrata la convergenza di Governo, Regioni ed Enti locali”.
E nella stessa direzione si è ancora espresso il Consiglio di Stato con il recente parere n. 1143/2021 emesso nell’ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica promosso da un operatore del Comune di Vinovo avverso la misura comunale limitativa degli orari analoga a quella de qua, pur meno restrittiva prevedendo 16 ore di interruzione anziché 17. Il Consiglio di Stato in quella sede ha ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento posto che “Le motivazioni genericamente addotte nel preambolo della delibera non sembrano supportate da adeguata istruttoria in ordine all’effettiva necessità di una fascia oraria di utilizzo così ridotta; né si fa espresso riferimento alle caratteristiche del territorio comunale, alla popolazione e al numero di persone colpite dalla problematica della dipendenza dal gioco ’azzardo”. Il Collegio ha ribadito “La necessità che misure fortemente restrittive dell’attività di impresa siano supportate da adeguata e puntuale istruttoria – anche in un settore, quale quello in esame, in cui possono venire in considerazione effettive esigenze di tutela della salute pubblica (…). Tale esigenza, affermata con il menzionato precedente n. 1418/2020 in relazione a determinazioni comunali successive all’adozione dell’Intesa perfezionata nella Conferenza Unificata del 7 settembre 2017, costituisce espressione di princìpi generali dell’azione amministrativa e va senz’altro ribadita anche con riguardo a determinazioni, come quella impugnata con il presente ricorso, adottate anteriormente alla stipulazione di tale Intesa (…).

Ed ancora il parere del Consiglio di Stato n. 449/2018 del 20.2.2018 secondo cui “i motivi di interesse generale che consentono le limitazioni di orario (…) non possono consistere in un’apodittica e indimostrata enunciazione, ma debbono concretarsi in ragioni specifiche, da esplicitare e documentare in modo puntuale. Sicché la motivazione (…) si presenta carente risultando indimostrata la correlazione tra l’utilizzo degli apparecchi da gioco e gli affermati rischi per la sicurezza e la quiete pubbliche, né d’altra parte, si chiarisce perché e come la limitazione del funzionamento di detti apparecchi per una o due ore possa ovviare alle problematiche alle quali si accenna nell’atto gravato. (…) Sotto questo profilo risulta violato anche il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, non potendosi verificare se l’imposto limite all’attività in questione corrisponda e in quale misura a una reale esigenza di protezione degli interessi pubblici sopra richiamati. Qualora il Comune (…) intenda riesercitare il potere in discorso, dovrà dunque procedere sulla scorta di approfondite indagini sulla realtà sociale comunale, previa acquisizione di dati ed informazioni il più possibile dettagliati ed aggiornati sulle esigenze delle imprese nonché sulle tendenze e le abitudini dei soggetti coinvolti”.

Ed ancora la sentenza del Tar Lazio n. 1460/2019, anch’essa già citata in merito alla valenza dell’Intesa, che ha dichiarato l’illegittimità delle limitazioni di orari del Comune di Anzio analoghe a quelle che qui si impugnano, in quanto poste in essere “senza che emergano le ragioni in base alle quali si è ritenuto di dover innalzare il limite di sei ore di non funzionamento degli apparecchi (…) non essendo indicati particolari situazioni o fenomeni, legati allo specifico territorio comunale, che abbiano condotto a tale più stringente previsione, tale da disattendere una indicazione espressamente adottata al fine di rendere omogenea ed uniforme, su tutto il territorio nazionale, la disciplina sul funzionamento degli apparecchi di gioco”.
Ed infine si richiama la copiosa ulteriore giurisprudenza sul punto, che di seguito per comodità si riepiloga: (i) Tar Toscana, sentenze nn. 453/2018, 454/2018 e 1006/2018, secondo cui “il potere di limitazione degli orari dell’attività di gioco attribuito al Sindaco deve essere assistito da precisi studi scientifici relativi all’ambito territoriale di riferimento e non caratterizzato da eventi illogicità o irragionevolezze che incidano sulla legittimità del provvedimento”; (ii) Tar Toscana sentenza n. 872/2017 che ha rilevato come “il potere di limitare gli orari di funzionamento delle sale giochi e degli apparecchi con vincita in denaro deve essere assistito da precisi studi scientifici relativi all’ambito territoriale di riferimento, e non caratterizzato da evidenti illogicità o irragionevolezze, e che l’intervento dell’autorità in materia deve contemplare un accurato bilanciamento tra valori ugualmente sensibili (il diritto alla salute e l’iniziativa economica privata) in base ad approfondite indagini sulla realtà sociale interessata”; (iii) Tar Toscana sentenze gemelle da 396/2017 a 407/2017 che si è spinto fino ad annullare nel merito l’ordinanza sindacale n. 232/2016 del Comune di Firenze “da ritenersi sicuramente viziato, non contenendo una qualche considerazione degli interessi dei gestori delle strutture e dell’“indotto” correlato ed il conseguente bilanciamento con le esigenze di prevenzione della ludopatia. Il sostanziale unilateralismo dell’atto impugnato (che considera solo le esigenze di prevenzione della ludopatia) e la mancanza completa di una qualche considerazione degli interessi contrapposti appaiono poi ancora più rilevanti, in un contesto in cui l’importanza percentuale della riduzione oraria imposta agli esercenti (…) e l’esiguo numero di ore rimaste a disposizione (…) portano a ritenere concreto il pericolo che la disciplina limitativa possa risolversi nella pratica interdizione di un’attività che, al contrario, continua ad essere permessa dallo Stato; ed il tutto in un contesto in cui la giurisprudenza”; (iv) Tar Molise sentenza n. 156/2017 che ha rilevato che “le limitazioni di orario all’attività degli esercizi commerciali troverebbero giustificazione, anche alla luce del dettato costituzionale e della normativa comunitaria sulla libertà dell’iniziativa economica, in esigenze concrete – da dimostrare volta per volta – di prevenire, almeno per un periodo di tempo limitato (stante la natura provvisoria e contingente di tali misure) il fenomeno della ludopatia (…). Tutto questo non può essere semplicemente affermato in via apodittica ma deve trovare riscontro nei dati che l’Amministrazione comunale può e deve acquisire, in via istruttoria, in sede procedimentale, prima di adottare un provvedimento di tal genere e di tale impatto”.
E’ evidente dunque che non possa parlarsi di “legittimità” delle restrizioni orarie se non si fornisce prova di aver effettuato precedentemente un’indagine specifica sul territorio di riferimento che la giustifichi come “indispensabile” o quantomeno necessaria e comunque proporzionata.

Geronimo Cardia



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