COMUNE CHE VAI, RIMEDIO CHE TROVI (GIOCONEWS GENNAIO 2015)

La lotta alle ordinanze comunali sulle limitazioni di orari. Possibile che “Sindaco che vai, male e cura che trovi?

In queste settimane pare si sia scatenata una gara tra i comuni del Paese per vedere chi individua l’orario giusto di apertura delle sale da gioco e di utilizzo degli apparecchi, come fosse una competizione tra chi individua i mali che vanno curati e le fasce deboli che c’è bisogno di tutelare.

Per esercizio ho provato a fare questa analisi sulle iniziative di Salerno, Rivoli, Genova (più risalenti), Milano, Pavia, Padova, Reggio Calabria.  Ed ecco i risultati.

Ogni città dichiara di avere i suoi mali, i propri soggetti da tutelare ed individua la propria specifica cura. Non v’è sostanzialmente mai una coerenza tra le valutazioni del problema da risolvere né nella ricetta da applicare.    Siamo sicuri che le cose stiano proprio come ci vengono rappresentate dai comuni?    Siamo sicuri che ogni territorio possa avere problemi e soluzioni così diverse? Ma soprattutto, si tratta di soluzioni efficaci?  Noi riteniamo di no e stiamo provando a metterlo in evidenza nei vari tribunali interessati.

Di volta in volta evidenziamo che le ordinanze contengono provvedimenti limitativi dell’attività compromettendo in misura determinante sia interessi specifici degli operatori legali del settore, sia interessi generali di ordine superiore quali sicurezza, ordine pubblico ed esigenze di gettito erariale.

Le limitazioni orarie, a volte devastanti al punto di più che dimezzare gli orari di apertura quotidiani, incidono negativamente sulle entrate delle degli operatori così consistente da pregiudicarne l’operatività. Ed infatti all’abbattimento delle ore di funzionamento corrisponde necessariamente l’abbattimento dei ricavi commisurati alla durata della raccolta, mentre lo stesso non può dirsi per i costi – quasi tutti fissi tra struttura e personale – con la conseguenza che si determina una perdita durevole e strutturale al punto di cagionare la definitiva compromissione dell’operatività, il ridimensionamento occupazionale e forse la chiusura.

Ovvio che un provvedimento che determini la chiusura di attività economiche legali in favore di altri interessi ritenuti maggiormente tutelabili, non può dirsi che abbia effettuato in materia i doverosi bilanciamenti.

E ciò soprattutto quando nell’ordinanza comunale (come quella di Formia annullata dal Tar Latina Latina) non v’è un’evidenza circostanziata né del problema che si vuole risolvere (ludopatia o altro che in realtà è ben più limitata di quel che si paventa) né dell’efficacia della misura che si intende adottare (la riduzione di orari non è né curativa né idonea a ridurre la tentazione del soggetto debole).    In quanto, in presenza di queste carenze il principio del bilanciamento degli interessi (al quale i giudici spesso di affidano) deve essere valutato con maggiore attenzione avendo riguardo di considerare le menomazioni imposte in capo ai soggetti che subiscono la limitazione, in questo caso di orari.    In altre parole, prima di ammazzare un comparto, almeno cerchiamo di accertare preventivamente che lo si fa per un motivo che esiste e che si conosce e perché si adotta uno strumento insostituibile ed efficace alla risoluzione del problema paventato.

Nelle impugnazioni si mette in evidenza poi che le ordinanze incidono direttamente sull’orario di funzionamento degli apparecchi, anziché sull’orario di esercizio dei locali ove essi sono collocati e che ciò non trova supporto in alcuna fonte normativa e si pone in contrasto con la normativa di matrice statale, nonché con gli obblighi concessori dettati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli posto che lo spegnimento degli apparecchi influirebbe negativamente proprio sul rispetto delle vigenti disposizioni in materia di controllo e di lettura degli apparecchi stessi, nonché sui livelli di servizio richiesti dalle convenzioni di concessione, generando, così, inadempimenti ed ingenti penali a carico degli operatori del settore.

Senza contare che nella quasi totalità dei casi, anche volendo considerare applicabile l’articolo 50 comma 7 del Tuel, i comuni non seguono il precetto della medesima disposizione che prevede di seguire gli indirizzi del consiglio comunale.

In tutti i modi si tenta poi di mettere in evidenza che la misura proposta di limitare l’orario di funzionamento degli apparecchi non è idonea per perseguire l’obiettivo dichiarato di contrastare l’insorgere di fenomeni devianti nell’utilizzo degli apparecchi di intrattenimento).     Anche in aula si è più volte tentato di far riflettere cponendo un semplice interrogativo: chi può affermare che la riduzione degli orari di apertura delle pasticcerie sia misura idonea a ridurre il numero dei soggetti affetti da diabete? Chi può escludere che chiuse tutte le pasticcerie i golosi accedano al mercato delle bancarelle illegali con dolci prodotti e provenienti chi sa da dove e che dunque possono seriamente fa male?

A più riprese si mette in evidenza che i comuni dimostrano di non fare mai una valutazione dell’efficacia della misura rispetto all’obiettivo, non si valuta minimamente se lo strumento della riduzione degli orari sia l’unico o sia di per se idoneo a perseguire lo scopo, così come i tentativi di quantificazione del fenomeno sono basati su considerazioni del tutto ipotetiche, se non addirittura smentite dalle Asl locali.

Il tutto senza contare che la previsione di orari non trova copertura normativa né a livello nazionale, né in alcuni casi a livello regionale.

Il decreto Balduzzi, per un verso, con chiarezza affida con alla competente autorità statale la potestà di pianificare l’utilizzo degli apparecchi, dovendo invece le amministrazioni locali partecipare attraverso il meccanismo della Conferenza unificata, e non attraverso l’attribuzione di competenze legislative/regolatorie autonome indipendenti e disomogenee.

Inoltre, la delega fiscale (approvata con la Legge n. 23 dell’11.03.2014)  dispone il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici in un codice per “introdurre e garantire l’applicazione di regole trasparenti e uniformi nell’interno territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l’offerta di scommesse su eventi sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi”. Ecco che son previste “forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio” che non includono quindi poteri autonomi deliberativi.

Senza contare che l’approvanda riforma del titolo V della parte II della Costituzione (art. 24 e ss. del DDL n. 1429 – approvato dal Senato l’8 agosto 2014), all’articolo 117 della Cost., attribuisce alla Stato la legislazione esclusiva in materia di norme generali per la tutela della salute e concede poi allo Stato la possibilità di “intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale”.

Più volte, infine, è stato messo in evidenza che i temi che si trattano non stanno a cuore solo del singolo operatore, ma devono essere valutati nell’interesse comune non solo del comparto, che pure basterebbe, ma dell’intera collettività.   Gli interessi generali sono:  (i) arginare la criminalità organizzata sempre pronta ad offrire gioco illegale sui territori in cui è stata compressa l’offerta legale;  (ii) contenere gli effetti distorsivi sulle fasce deboli che potrebbero avere accesso a forme di gioco illegale, dunque prive di regole, dunque per definizione più pericolose e dannose; (ii) arginare il danno erariale da perdita di gettito erariale;  (iii) contenere i ridimensionamenti dei livelli occupazionali dell’intero comparto colpito dall’Ordinanza.

Possibile che non riesca a mettere la parola fine al problema?   A volte ci si chiede: ma se una parte anche minima del preu fosse destinata agli enti territoriali in cui matura (un po’ come accade per l’Imu sugli immobili, per intendersi) il gioco avrebbe avrebbe ancora tutti questi nemici?

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