Le proroghe delle concessioni in scadenza sono un atto dovuto dall’ordinamento giuridico ed a beneficio dell’ordinamento giuridico. GERONIMO CARDIA (JAMMA GENNAIO 2022)

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Le proroghe delle concessioni in scadenza sono un atto dovuto dall’ordinamento giuridico ed a beneficio dell’ordinamento giuridico.

Ad un certo punto del mese di dicembre è diventato chiaro che le proroghe tecniche delle concessioni e dei diritti in scadenza fossero uscite dai radar del Governo.

Ciò rappresenta un dato di fatto che merita di essere approfondito.

In via preliminare va chiarito che nel caso di specie la proroga tecnica e non onerosa non rappresenterebbe un regalo agli operatori e non va qualificata tantomeno come un capriccio degli stessi.      La proroga si atteggia, infatti ed in realtà, quasi come un atto dovuto dall’ordinamento giuridico in favore ed a beneficio dell’ordinamento giuridico stesso.

E vediamo perché.   Le ragioni di tale atto dovuto sono ben chiarite da posizioni assunte dal Consiglio di Stato nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze stesso.  Peraltro già da diverso tempo.

E’ storia nota che in due pareri interlocutori, resi al Ministero dell’Economia e delle Finanze all’esito dell’Adunanza del 27 marzo 2019, il Consiglio di Stato abbia risposto in merito alle proposte di attuazione della gara scommesse e della gara bingo, formulate dal medesimo Ministero nel tentativo di uscire da un regime di proroga tecnica, già esistente da tempo dunque per queste due verticali distributive di gioco, che ha notoriamente origine nel permanere del problema dei divieti sulla sostanziale totalità dei territori generati dagli errori tecnici che viziano i distanziometri che espellono le realtà esistenti e non permettono installazione di nuove (Cfr., in particolare, Consiglio di Stato, pareri interlocutori nn. 1057/2019 e 1068/2019).

In sostanza, il Consiglio di Stato nei pareri ribadisce questi concetti.  Ed infatti chiede esplicitamente al Governo come possano essere indette le gare per l’assegnazione di nuovi punti di gioco pubblico scommesse e bingo, in sostituzione di quelli in essere scaduti ed in proroga, posto che risulta ancora pendente il problema della cosiddetta “Questione Territoriale”.

Nei pareri, il Consiglio di Stato pone al Ministero dell’Economia e delle Finanze un ulteriore tema: quale sia la ragione per la quale non sia stata ancora attuata, dal Ministero delle Finanze stesso con il decreto ivi richiesto, l’Intesa Stato/Enti Locali voluta dal Legislatore, gestita con l’impegno del Governo, raggiunta nel 2017 e che chiaramente prevede la presenza, sia pure ridotta ma pur sempre capillare, dell’offerta di gioco pubblico sui territori, con di fatto l’eliminazione dell’effetto espulsivo delle norme territoriali.

In buona sostanza, il Consiglio di Stato sembra lamentare che con queste premesse gli Enti Locali non abbiano adattato le proprie norme sulla distribuzione del gioco pubblico ai principi contenuti nell’Intesa, non abbiano eliminato l’errore tecnico che determina l’effetto espulsivo delle realtà esistenti e l’impossibilità di apertura dei punti messi a gara scommesse e bingo sulla sostanziale totalità del territorio non ottemperando al precetto di adeguamento all’Intesa imposto con la Legge di Stabilità del 2018.

Dai pareri emerge, tra l’altro, quanto segue. “Il Ministero ha (…) evidenziato che negli ultimi anni si è assistito al proliferare di normative regionali e comunali, spesso difformi tra loro, che hanno generato una vistosa frammentazione del quadro regolatorio, ragion per cui il legislatore (articolo 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità per il 2016) ha previsto la definizione in sede di Conferenza unificata, entro il 30 aprile 2016, (…) dei criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età (…). La successiva legge n. 205 del 27 dicembre 2017, all’articolo 1, comma 1049, ha poi previsto che, “al fine di consentire l’espletamento delle procedure di selezione (…), le regioni adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico all’intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 settembre 2017”. Sennonché, aggiunge il Ministero, non risulta che le Regioni interessate abbiano adeguato le proprie leggi alla citata intesa”.

Ed ancora: “non si comprende dagli atti se e in che modo i contenuti di questa intesa siano stati valutati e tenuti presenti nella redazione dei documenti di gara, nei quali non sembrano invero richiamati. Né si forniscono delucidazioni sulle ragioni della mancata adozione del decreto ministeriale, che pure spetta alla competenza del Ministero riferente, né (…) informazioni circa lo stato dell’arte, le ragioni del ritardo e/o le eventuali diverse scelte amministrative che presiedono eventualmente alla decisione di soprassedere all’emanazione di tale decreto e perché esso possa esser ritenuto non necessario.  Né si forniscono elementi di valutazione, pur necessari, riguardo alla ritenuta non ostatività, ai fini della procedura di gara, della mancanza di tali atti, che pure paiono essere in qualche modo configurati dalla legge come presupposti per l’indizione delle gare”.         

Per tali ragioni, sul punto viene indicata la seguente conclusione secondo cui: “appare comunque necessario che il Ministero fornisca più approfondite e complete valutazioni riguardo ai profili ora evidenziati, concernenti la possibilità di procedere in assenza di decreto ministeriale di recepimento dell’intesa sancita in Conferenza unificata, in assenza delle leggi regionali attuative previste dalla legge e, in ogni caso, se e in che misura i soli contenuti dell’intesa possano sopperire alle suddette mancanze e, in caso positivo, se e in che modo essi debbano essere considerati e inclusi nei documenti di gara (oppure perché si possa ritenere legittimo escluderne ogni rilevanza e applicabilità in questa sede)”.

Detto ciò non può non tenersi in considerazione anche che gli effetti della pandemia, i mancati ristori, le distorsioni registrate dalla filiera per l’apertura dei conti correnti stanno rendendo sempre più complesso l’esercizio dell’attività di distribuzione del gioco pubblico.

D’altro canto, è chiaro che sul punto possono tenersi in considerazione gli effetti come previsti dall’articolo 103 del Decreto cosiddetto Cura Italia della sospensione delle scadenze delle autorizzazioni e delle concessioni che intervengono nel periodo di emergenza.    E’ chiaro che può anche tenersi in considerazione il prolungamento di 90 giorni del periodo emergenziale.    E’ chiaro che la via giudiziale per la rappresentazione dei motivi di fumus e periculum è sempre percorribile.   E’ chiaro che lo strumento della proroga amministrativa è pur sempre tra quelli appositamente contemplati per le ragioni di necessità previste dal legislatore.

Ma è altrettanto chiaro l’esercizio di un’attività così importante come quella della distribuzione del servizio pubblico di gioco che è posta a tutela di un così alto numero di interessi pubblici (dalla salute al risparmio ed alla fede pubblica, dall’ordine pubblico al gettito erariale, dall’impresa la lavoro) merita quel minimo di stabilità (normativa) idonea a rendere sostenibile un lavoro così delicato e così rilevante per il Paese che a gennaio vedrà insediato il suo tredicesimo Capo dello Stato e forse così finalmente sbloccate tante decisioni.

Geronimo Cardia



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